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Storie a vista. Workshop tra immagini e parole | Iole Carollo

Il modo in cui gli oggetti vengono tramandati è pura narrazione. Ti lascio questo perché ti voglio bene. Oppure perché qualcun altro lo ha lasciato a me. Perché l’ho comprato in un luogo speciale. Perché te ne prenderai cura. Perché ti complicherà la vita. Perché farà schiattare di invidia il tale o il tal altro. Le eredità non sono mai banali. Che cosa viene ricordato e cosa dimenticato, nel passaggio? L’oblio può perpetuarsi, i possessori di un tempo esser via via cancellati, ma può anche verificarsi l’opposto, una lenta accumulazione di storie.

Edmund De Waal, Un’eredità di avorio e ambra

Nell’ambito del PRIN 2020 “Fototesti. Retoriche, poetiche e aspetti cognitivi”, Iole Carollo terrà “Storie a vista. Workshop tra immagini e parole” il 14 e il 15 marzo, tra il Dipartimento Culture e Società ed Église.

Judith Schalansky nell’ultimo libro, edito in Italia da Nottetempo, Inventario di alcune cose perdute tratta dell’equilibrio tra presenza e assenza, tra ciò che c’è e quel che non esiste più: si parte dall’isola di Tuanaki, indicata nelle mappe cartografiche ma ormai sott’acqua, passando dalle lacune dei carmi amorosi di Saffo, e si giunge ai disegni della luna di Kinau. Dodici storie, dodici capitoli aperti da un’immagine stampata con inchiostro nero su carta scura, visibile solo alla luce, il cui soggetto è trattato nel capitolo che apre, si tratta di creature e di oggetti, mobili o immobili, che sono andati perduti, che sono stati dimenticati o distrutti intenzionalmente.
A eccezione del capitolo aperto dal Palazzo della Repubblica di Berlino, in cui l’autrice parla della sua storia familiare, della separazione dei genitori.
I progetti artistici che nascono dal recupero di vecchie fotografie o di tracce del passato creano una sorta di corto circuito nella vita di questi oggetti, tornano in qualche modo alla vita e il loro significato si rinnova, per
quanto tempo e spazio si possano disgregare, lavorare sulle tracce del passato —anche prossimo— permette di riscattarsi, di salvarsi e salvare quello che è stato e di poter meglio comprendere quel che sarà. Gli oggetti che
appartengono al quotidiano sono percepiti come metonimie delle persone cui sono appartenute, diventano testimoni muti di quel che erano e di ciò che potremmo essere noi, degli accadimenti globali e individuali.
I progetti artistici che nascono dal recupero di vecchie fotografie o di tracce del passato creano una sorta di corto circuito nella vita di questi oggetti, tornano in qualche modo alla vita e il loro significato si rinnova, per quanto tempo e spazio si possano disgregare, lavorare sulle tracce del passato —anche prossimo— permette di riscattarsi, di salvarsi e salvare quello che è stato e di poter meglio comprendere quel che sarà. Gli oggetti che appartengono al quotidiano sono percepiti come metonimie delle persone cui sono appartenute, diventano testimoni muti di quel che erano e di ciò che potremmo essere noi, degli accadimenti globali e individuali. Quanto sopra scritto diventa ancora più forte quando il medium è la fotografia: «Le fotografie sono relitti del passato, tracce di ciò che è avvenuto. Se i viventi prendessero su di sé il passato, se il passato diventasse parte integrante del processo attraverso cui le persone fanno la propria storia allora tutte le fotografie acquisterebbero un contesto vivo continuerebbero ad esistere nel tempo invece di essere momenti congelati».
[John Berger, Sul guardare, 2017]
“Storie a vista. Workshop tra immagini e parole” comprende due fasi, l’una teorica (illuminare il passato attraverso l’obiettivo) e l’altra pratica (piegare, interpretare, narrare). Nella fase teorica del workshop, si analizzerà il significato dietro la conservazione e la trasmissione degli oggetti nel tempo, esplorando il legame tra memoria, eredità e narrazione visiva. Durante questo percorso, si esploreranno alcuni progetti significativi che hanno trasformato la pratica della conservazione visiva: saranno presentati esempi di archivi, sia individuali che collettivi, che hanno preservato la storia attraverso l’uso creativo di fotografie e oggetti del passato. Tra i progetti in evidenza, Ti racconto una cosa di me. Scritture e fotografie da collezioni private, a cura di Ivana Margarese
e Giorgia Tolfo, Riscatti. Archivio romantico delle foto perdute di Ivana Marrone, Archivio Rami di Sabrina Ramacci, Archivio Atena e #StolenMemory degli Arolsen Archives, ognuno dei quali ha contribuito a dare vita
a narrazioni uniche e significative attraverso l’immortalità visiva del passato. Partendo dalla pratica messa in atto dalla Schalansky, l’intento di “Storie a vista” è quello di creare un piccolo archivio di immagini e parole in cui l’oggetto appartenente al singolo diventa patrimonio del gruppo. Ogni partecipante sarà invitato a produrre l’immagine di un oggetto significativo (mobile o immobile) dal proprio quotidiano che sia parte dell’archivio familiare, quale ricordo di chi o di ciò che non esiste più, o che abbia un significato per il singolo (il primo
acquisto, un souvenir di un luogo amato, un luogo, ecc.), dovranno essere prodotte due differenti fotografie, l’una dovrà presentare l’oggetto scelto nel suo contesto, dove è conservato/preservato/custodito, l’altra dovrà presentare lo stesso decontestualizzato su uno sfondo neutro che lo faccia risaltare (un foglio a tinta unita, una pianta, un piano, può essere pure ritagliato e posto su un qualunque sfondo, un particolare, ecc.). Successivamente, attraverso un processo creativo di piegatura delle immagini, si darà vita a un nuovo contesto visivo per questi oggetti, le immagini, stampate, dovranno essere liberamente e creativamente piegate
(accartocciate, potranno farne degli origami, ecc.), verranno riposte all’interno di una scatola: la piegatura dovrà necessariamente avvenire in altro luogo, questi piccoli oggetti saranno fotografati con una didascalia scritta
a mano (nome, titolo/descrizione dell’oggetto fotografato) e riposti all’interno della scatola.
Una volta conclusasi questa fase, ogni partecipante dovrà prelevare dalla scatola uno degli oggetti —senza guardare (di volta in volta, sarà temporaneamente tolto quello del partecipante che sceglierà)— tornati nella stanza di lavoro, ognuno dovrà de/scrivere quel che vede, quel che l’immagine suscita, anche partendo dalla piegatura, sarà concessa mezz’ora di tempo. Alla fine del tempo dato, le immagini dovranno tornare ai legittimi proprietari che, nello stesso arco di tempo, dovranno descrivere quell’oggetto, indicando le motivazioni per cui hanno scelto
quel soggetto, concludendo con una breve riflessione sulla piegatura e sulla motivazione che ha portato a scegliere una foto e a scartare l’altra. La riflessione e la narrazione su queste reinterpretazioni diventeranno parte
integrante del percorso, culminando in una condivisione collettiva delle storie scaturite da questo processo unico; alla conclusione del workshop, dedicata alla condivisione e alla riflessione, verranno letti e discussi gli scritti
generati da ciascun partecipante. Gli elementi creati durante il percorso diventeranno parte integrante di un menabò, uno spazio unico in cui le fotografie, oggetto delle descrizioni, saranno accuratamente inserite proprio nel
modo in cui erano state piegate. Accanto a queste immagini piegate, troveranno spazio le parole trascritte durante l’esercizio, dando vita a una rappresentazione tangibile e multisensoriale delle connessioni tra le storie personali e gli oggetti reinterpretati. Nella sezione finale del menabò, saranno inclusi anche gli scatti fotografici che, durante
il processo creativo, sono stati scartati. Questi elementi, benché esclusi dal percorso principale, avranno comunque il loro spazio, contribuendo a enfatizzare il carattere dinamico ed evolutivo dell’esperienza, dove
anche le scelte e le omissioni aggiungono strati significativi al racconto complessivo. Il menabò, una volta completato, potrebbe essere digitalizzato per preservare e condividere in modo più ampio queste narrazioni uniche, consentendo loro di vivere anche al di là delle pagine fisiche.

Programma
giovedì 14 marzo H 10:00/12:00
Laboratorio di Studi Culturali Dipartimento Culture e Società
Edificio 15 / Università degli Studi di Palermo
Fase Teorica

  • intro workshop ed esplorazione di progetti fotografici, archivi individuali e collettivi preservano storie attraverso
    l’uso di fotografie e oggetti del passato

venerdì 15 marzo H 10:00/13:00
Église APS

Fase Pratica: piegare, interpretare, narrare

  • scelta di un oggetto significativo e realizzazione di
    due immagini; piegatura delle immagini stampate
    per dar vita a un nuovo contesto visivo; scambio delle immagini piegate senza guardarle e descrizione; descrizione degli oggetti da parte di coloro
    che li hanno fotografati; condivisione collettiva: lettura e discussione degli scritti; creazione di un menabò che unisce fotografie piegate, parole scritte e scatti scartati

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